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Ieri sera
Mi sono distratto solo quando la radio del locale ha diffuso la canzone spagnola che tu sai: in quel momento ho avuto l’impressione decisiva che saresti apparsa di lì a poco a dissolvere le nebbie del fritto, l’odore delle Benson&Hedges, i popcorn nella ciotola di vetro, facendo esplodere, con uno sguardo solo, i televisori sintonizzati su un’altra partita di coppa…

Teoria degli agguati 1
Gli agguati avvengono quando meno te l’aspetti. Cioè quando più te li aspetti. Perché, se non te li aspetti, pensi: “Non me l’aspetto: questo sarebbe il momento perfetto per un agguato”, ma proprio pensando così, ti rendi conto che la tua aspettativa si è alzata, quindi te l’aspetti, l’agguato non può colpire. Quando te l’aspetti, invece, pensi: “Adesso sarei troppo preparato per un agguato, non può accadere”, e così l’aspettativa di un agguato si abbassa, perciò non te l’aspetti: l’agguato agisce.

La storia che segue è più o meno falsa, ma il mio maglione ha fatto veramente una brutta fine.
La storia che segue è più o meno falsa, ma il mio maglione ha fatto veramente una brutta fine.

La storia che segue.
Mia madre mi siede accanto. Io, con un gioco di telecomando, sto seguendo due quiz, Will&Grace, il telegiornale regionale. Immagino che anche lei, come me, guardi la televisione. Invece osserva me; mi squadra i pantaloni.
Come complottando, si mette una mano davanti alla bocca e dice, sottovoce: “Non puoi andare in giro con quei pantaloni.” “Sean Connery”, dico io, ma sto rispondendo a uno dei quiz, mica a lei. I miei pantaloni vanno benissimo: velluto marrone a coste sottili. “Ti fanno le gambe magre” dice sussurrando. “Io ho le gambe magre.”, rispondo al quiz; “Tana delle tigri” rispondo a lei.
“Sai cosa avrebbe detto mia zia Ines?” dice, guardandosi intorno, in cerca di spie. “Direbbe che sembri un isacchin” “Un che?” “Un isacchin.”
“E’ un commento razzista.”, dico. “Sì” dice, mentre, accucciata, verifica che non ci siano microfoni sotto il divano. “Quei pantaloni li userò io, d'ora in poi.” dice.
Poi mi guarda il maglione.
Mi fa alzare, mi porta in bagno, apre tutti i rubinetti per disturbare eventuali intercettazioni e dice: “Quel maglione… farà una brutta fine. Una brutta, bruttissima fine…”





Già che ci sono
Pensavo di averti eliminata dai miei pensieri, invece ieri mi sono accorto che…

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o...
Se una notte d'inverno lo spazzolino elettrico di tuo figlio si anima di vita propra senza nessun apparente motivo e tu e tua moglie vi trovate in bagno, assonnati, per capire da dove proviene quella vibrazione e in quel momento, dallo scarico del lavandino un gorgoglio rauco esala una risata che richiama alla memoria una brutta storia mai del tutto chiusa, allora, ecco, forse qualcosa si sta agitando; ma non qui: di qua . So che non dovrei farlo.