Passa ai contenuti principali
Minchia, la neve.

Neve così neanche in Wisconsin. Neanche in Siberia, neve così.

Alla luce dei lampioni la vedo fioccare a nugoli più densi del pulviscolo; mi si appiccica alla giacca neanche fosse un panno antipolvere. In bicicletta mi sento il nucleo mobile del maltempo, il centro su cui converge tutta la neve, da tutti i lati.

Sto andando da Umberto. Sono le undici. Per strada non c’è nessuno. Ho finalmente fatto aggiustare il pedale, la mia andatura è abbastanza fluida.
Curvo in via della Biscia.

Se immetto la variabile x nella formula - penso pedalando sotto la neve- se inserisco x nel meccanismo appena prodotto, e moltiplico il risultato per il coefficiente n (coefficiente logaritmico) che ho calcolato in base alle osservazioni sociologiche di cui sopra riguardanti la produzione di aspettative in persone nel numero di y, all’interno di un contesto pseudoreferenziale, e se, stando attento alla proliferazioni degli errori, riesco a considerare, nei dati, la deviazione standard di un mio possibile errore di valutazione (diciamo: z) e alla fine combino x, y, z, senza dimenticare n, in tutte i modi possibili, il risultato è sempre lo stesso, e cioè: sono una persona allucinante. Sono una persona allucinante, pedalo pensando per via della Biscia.

Da qualche giorno il mio walkman si rifiuta di trasmettere in FM. Solo onde medie. Il meglio che riesco ad ascoltare è una radio slovena che programma liscio balcanico, con qualche cover di canzoni italiane degli anni cinquanta. Mentre pedalo (e penso) per via della Biscia, la radio trasmette la versione slovena di Ventiquattromila baci.

Di colpo la canzone si interrompe: “Ale”, sento nelle cuffie.

Non ci faccio caso. Ho imparato da tempo a non dar retta alle voci.
Ma poi, di nuovo: “Ale, frena.”

(continua? mah...)

Post popolari in questo blog

UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale