Paragrafi in ordine casuale
Il mio esaurimento nervoso ha la copertina di cartoncino rosso, intestazione in nero, arial 12, nessuna dedica, nessun ringraziamento. Se dovessi ringraziare tutti - e tutti dovrebbero essere ringraziati per aver sopportato me e tutte le mie assenze - verrebbe un’appendice più lunga della tesi, più lunga di Musil, più lunga di Prust. Più dell’enciclopedia britannica, perfino.
‘Inculàtevi’ era il mio pensiero fisso sabato sera, nel girare – bici alla mano – tra la folla delle piazze. In uno slalom tra gruppetti alcolizzati e bottiglie di birra in terra, ‘iculàtevi’ dicevo a voce alta, senza essere ascoltato. Più di tutti, le coppie. Io sabato alle coppie non so cosa avrei fatto.
‘Voi stasera cosa fate?’ una coppia all’altra. ‘Noi stasera proviamo la nuova tuta in poliuretano che si è comprato Gianni’ ‘Avete anche il gatto a nove code?’ I due si guardano languidi: ‘Roba vecchia, ormai.’ dice lui ‘Siamo passati al crick dell’automobile’ Lei ha un brivido di piacere. ‘Che romantici che siete’, dice l’altra ragazza. ‘Ti ricordi la prima volta che abbiamo usato il crick?’ dice il suo ragazzo, guardandola.
L’esaurimento nervoso è arrivato con l’ultimo scatto della stampante, quando mi sono accorto che 160 pagine su 166 erano stampate una riga sì e una no e il discorso filava lo stesso, anzi: meglio.
C’è una sala nella biblioteca dove si sente respirare. Non c’è mai nessuno, ma se ti siedi al tavolo e aspetti, dopo un po’ si sente il rumore di un respiro profondo. Proviene dagli scaffali di grammatica generativa. Ma tra gli scaffali di grammatica generativa non c’è mai nessuno.
Quello che segue è il veritiero resoconto di quanto accadutomi venerdì, in biblioteca, nella sala del respiro.
Sentivo un rumore come di topi. C’era qualcuno che scavava e scavava. Sentivo il rumore di qualcuno (o qualcosa) che scavava nel muro, dietro il muro. Mi avvicinaii, e subito il muro crollò, rivelando un tunnel. Ne uscì un uomo. Aveva una barba lunga grigiastra, i capelli bianchi. Una camicia bianca, pulitissima. Unghie sporche di terra. ‘Dov’è il mare?’ chiese ‘Secondo i miei calcoli dovrebbe esserci il mare, qui’ Indicai più o meno verso Venezia: ‘Il mare è di là’ dissi. Si avvicinò alla finestra, vide la strada: ‘Questo non è il castello d’If’, disse. ‘Più o meno’ risposi ‘E’ la biblioteca del Maldura’ ‘No! La biblioteca no!’, disse ‘Almeno tu, scappa…’ dicendo questo ebbe un attacco epilettico e morì. Il tunnel crollò subito dopo, chiudendomi l’unica via di fuga.
Ho sonno. Sono stanco. Dormo poco e male. Se dovessi parlare di tutto quello che mi irrita non la finirei più: alcuni film di hong kong, l’ultimo di John Woo, i 23-enni che pubblicano libri, il corpo dei ranger, i dopobarba profumati, le sciarpe bianche, Ben Affleck, la pubblicità della cocacola, gli psicologi in televisione…
Vado a dormire, forse è il caso.
Il mio esaurimento nervoso ha la copertina di cartoncino rosso, intestazione in nero, arial 12, nessuna dedica, nessun ringraziamento. Se dovessi ringraziare tutti - e tutti dovrebbero essere ringraziati per aver sopportato me e tutte le mie assenze - verrebbe un’appendice più lunga della tesi, più lunga di Musil, più lunga di Prust. Più dell’enciclopedia britannica, perfino.
‘Inculàtevi’ era il mio pensiero fisso sabato sera, nel girare – bici alla mano – tra la folla delle piazze. In uno slalom tra gruppetti alcolizzati e bottiglie di birra in terra, ‘iculàtevi’ dicevo a voce alta, senza essere ascoltato. Più di tutti, le coppie. Io sabato alle coppie non so cosa avrei fatto.
‘Voi stasera cosa fate?’ una coppia all’altra. ‘Noi stasera proviamo la nuova tuta in poliuretano che si è comprato Gianni’ ‘Avete anche il gatto a nove code?’ I due si guardano languidi: ‘Roba vecchia, ormai.’ dice lui ‘Siamo passati al crick dell’automobile’ Lei ha un brivido di piacere. ‘Che romantici che siete’, dice l’altra ragazza. ‘Ti ricordi la prima volta che abbiamo usato il crick?’ dice il suo ragazzo, guardandola.
L’esaurimento nervoso è arrivato con l’ultimo scatto della stampante, quando mi sono accorto che 160 pagine su 166 erano stampate una riga sì e una no e il discorso filava lo stesso, anzi: meglio.
C’è una sala nella biblioteca dove si sente respirare. Non c’è mai nessuno, ma se ti siedi al tavolo e aspetti, dopo un po’ si sente il rumore di un respiro profondo. Proviene dagli scaffali di grammatica generativa. Ma tra gli scaffali di grammatica generativa non c’è mai nessuno.
Quello che segue è il veritiero resoconto di quanto accadutomi venerdì, in biblioteca, nella sala del respiro.
Sentivo un rumore come di topi. C’era qualcuno che scavava e scavava. Sentivo il rumore di qualcuno (o qualcosa) che scavava nel muro, dietro il muro. Mi avvicinaii, e subito il muro crollò, rivelando un tunnel. Ne uscì un uomo. Aveva una barba lunga grigiastra, i capelli bianchi. Una camicia bianca, pulitissima. Unghie sporche di terra. ‘Dov’è il mare?’ chiese ‘Secondo i miei calcoli dovrebbe esserci il mare, qui’ Indicai più o meno verso Venezia: ‘Il mare è di là’ dissi. Si avvicinò alla finestra, vide la strada: ‘Questo non è il castello d’If’, disse. ‘Più o meno’ risposi ‘E’ la biblioteca del Maldura’ ‘No! La biblioteca no!’, disse ‘Almeno tu, scappa…’ dicendo questo ebbe un attacco epilettico e morì. Il tunnel crollò subito dopo, chiudendomi l’unica via di fuga.
Ho sonno. Sono stanco. Dormo poco e male. Se dovessi parlare di tutto quello che mi irrita non la finirei più: alcuni film di hong kong, l’ultimo di John Woo, i 23-enni che pubblicano libri, il corpo dei ranger, i dopobarba profumati, le sciarpe bianche, Ben Affleck, la pubblicità della cocacola, gli psicologi in televisione…
Vado a dormire, forse è il caso.