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Eppure correre non mi dispiace, anche se dopo cinque minuti, ai lati del campo visivo, mi si affastellano màcchiole grigie, sempre più grandi, e la caviglia cigola - la destra. Martedì sera ho perso le chiavi sugli autoscontri, forse quando Criscia è sobbalzata fuori dalla macchina e me ne sono reso conto con un ritardo un po' troppo lungo, continuando a premere sull'acceleratore e trascinandola così per qualche metro col culo sulla pista - con una gamba e una mano si teneva avvinghiata al bordo del veicolo - oppure quando, sbattendo contro Starsky&Hutch, il mio naso ha ricevuto la sua nuca in pieno. Fatto sta che sono rimasto chiuso fuori tutta la notte, per demenza soprattutto, per non essermi reso conto in tempo dell'accaduto, e per non essere tornato indietro, se non più tardi, alle due del mattino, quando ormai tutto era chiuso e le giostre deserte - un vento freddo alzava le carte dalle strade e le bottiglie di plastica da mezzo litro - e io bussavo timido al pullman degli autoscontristi chiedendo se c'era qualcuno - ma chissà se i giostrari dormono nei pullman. Così. I miei genitori erano in montagna e tornavano mercoledì sera e io ho passato quel pomeriggio assonnato a immaginarmi con terrore i giostrari che trovavano le chiavi e si barricavano in casa nostra prima che arrivassero mia madre e mio padre. Giostrari armati di kalashnikov e forchette sporche. I giostrari prendevano in ostaggio i miei, minacciandoli con le forchette al collo, e rubavano tutto, anche i muri non portanti, anche gli interruttori della luce e le piastrelle del balcone, le maniglie delle porte, l'aspiratore del bagno. Aspiratore che, in questi giorni, ha iniziato a rumoreggiare di sua iniziativa. Il bagno di camera mia è cieco, e io di solito lo stacco perchè mi infastidisce tutto quell'aspirare, ma l'altra notte lui, l'aspiratore, da solo, ha dato segni di vita, rumori secchi, nuovi, tanto che ho cominciato a sospettare che un esercito di scarafaggi si stesse facendo strada attraverso le tubature, attratto dall'orrore nell'aspiratore. Così, invece di aprire il pannello per controllare cosa non andasse, l'ho fatto funzionare. Ho sentita la ventola tranciare qualcosa di solido e uno scrocchio come di noci, non so, e forse anche un piccolo urlo, oppure era solo fantasia. Comunque poi le chiavi le ho trovate.

Più confuso del solito, è vero. Sarà il tuo compleanno. (A proposito, auguri!) Oppure la città blindata dall'arrivo del Cavalier Banana. O la pizza coi pomodorini a pranzo. Volevo parlare d'altro. Domani, magari. Oggi mi son lasciato prendere la mano.


p.s. tolgo i commenti perchè sono schizofrenico e non pacificato. Grazie a tutti quelli che hanno lasciato una parola (ma anche a quelli che non l'hanno lasciata).

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale