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Riassunto delle puntate assenti.

Un quasi trentenne - diciamo - parassitario (in molti sensi) vive segregato in casa. Non per vocazione. Così: senza nessun motivo plausibile. Non proprio segregato. Ogni tanto esce. Un giorno di Agosto, il trentenne decide di andare in banca per cambiare un assegno. Prende il walkman, prende un libro per passare il tempo nell'eventuale coda, intasca il telefono. Esce. Appena chiude la porta, si rende conto di essersi dimenticato le chiavi. Non solo le chiavi: anche l'assegno. E i soldi. Allora manda messaggi in giro, si siede sul marciapiede, aspetta che qualcuno lo salvi. Fuori è caldissimo. Intanto legge un libro sul Trystero. Non chiedetemi cos'è il Trystero. Ha a che vedere con la posta. Questo è quanto. Comunque poi alla fine arriva il padre del quasi trentenne che lo fa rientrare. Nel frattempo un piccione si intrufola in casa attraverso una finestra aperta. Ho scritto nel frattempo, ma il piccione entra in casa settimane dopo. Il trentenne (lo chiameremo A.) entra in casa con G. dopo aver camminato tutta la mattina e si trova un piccione nel salotto. La prima cosa che A. pensa - con sgomento - la prima cosa che pensa è: piccioni! come in quel romanzo di Trevisan! A. ha un decisivo problema con la letteratura. O forse è il contrario. Forse la letteratura ha un problema con A. Forse la letteratura ha un problema con se stessa. O forse se stesso ha un problema con sè e con stesso. O forse. Intanto il piccione, con sgomento anche lui (lui? no, no, cos'è questa umanizzazione? esso per dio!) scagazza, sbatacchia le ali, impianta la testa contro il vetro della finestra e rimbalza fuori, non senza uno schiocco orrendo. Schiok. La merda del piccione sul pavimento bordeaux. Un tocco cromatico alla Lynch... Invece, qualche giorno prima, anzi, una sera, il trentenne che continua a tergiversare nel suo parassitismo rimandando al rimandabile tutto ciò che dovrebbe fare e non fa - per rendere il riassunto gratuitamente un po' confuso d'ora in poi lo chiameremo B. - dopo una cena da amici scopre che qualcuno gli ha rubato un'altra bicicletta. La bicicletta in questione era la bicicletta di suo fratello S. ed era dentro al giardino di P., a Terranegra. Per cui, il ladro, il bastardo, l'infame, il lucido figlio di una maiala, nonchè lurido, deve aver scavalcato il cancello avanti e indietro, prima senza e poi con la bici. Certo che voi ladri di biciclette (e lo so che ci siete! siete una setta! vi scoprirò! tutti!) siete proprio delle merde. Dico così per dire, eh?, senza offesa. Merde. M-e-r-d-e. Merdissime merde. E la smetto qua. Contemporaneamente, i genitori di B. sono in vacanza. Ma anche B. è in vacanza. E allora? E allora le piante del balcone muoiono. Tutte. Non sarebbe niente di grave se adesso le piante secche e morte non attirassero il peggio del mondo entomologico: le cavallette. E non sarebbe niente se le cavallette in questione non fossero lunghe 15 cm. E se di giorno in giorno non aumentassero di numero. B. non apre più la finestra del balcone. Si sente assediato. Cavallette. Cavallette mostruose. Piccioni, cavallette mostruose e piante morte. E dottorati di ricerca.
Ma questo un'altra volta.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale