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In una settimana (sabato incluso; inclusa domenica, alle otto e mezza del mattino), hanno lavorato in casa mia: i pittori, gli elettricisti, i falegnami, i muratori, manovali, camionisti, sartine, gasisti, informatici, tecnici generici, tappezzieri, postini, giardinieri, stuntmen, giocolieri, infermieri, disegnatori, arredatori...

Così arrivo a Venezia con la testa svagata, il pensiero di aver sbagliato qualche passaggio. Che ci faccio qui? Non è il caso, alle volte, di rifiutarsi? Non sono in forma, mi nascono pensieri strampalati che non riesco a elaborare bene. Sento soprattutto una stanchezza agli occhi che coinvolge tutto il resto; ho l'impressione di essere impreparato a tutto. Devo studiare, penso. Devo studiare di più. Memorizzare. Ripetere. A pranzo, il Commu mi dice che non riesce a scrivere perché ci vuole tempo. Due giorni dopo - ho i riflessi più veloci di un rettile - mi viene in mente che anch'io, anch'io non riesco a concentrarmi sullo studio: ci vuole tempo; i risultati non sono immediati, so che dimenticherò tutto e dovrò rileggere e rileggere e rileggere. Quando arrivo al ponte dei giocattoli, non mi ricordo se Tina, al telefono, mi ha detto di attraversarlo o no. Allora aspetto. Il mio lavoro qui? Editare un testo, metterlo a posto, riscriverlo. Di solito queste cose le faccio a casa. Tina ha insistito, invece, che ci incontrassimo a Venezia, perché da lei, a Yale, si fa così: ci si incontra e si discute. Non mi oppongo, mi dico: vediamo cosa succede. Eccola che mi viene a prendere. Mi scuso per il ritardo, ci avviamo verso casa.

... apicoltori, bibliotecari, addetti non sistematici, dattilografi, stenotipisti, palombari, podologi, otorini, geografi, botanici, archeologi, saldocarpentieri, direttori di cava, rilegatori, responsabili minimi, acconciatori, operatori, operatori ecologici, operatori sanitari, operatori ittici, operatori di tombolo, operatori di macramè, pornografi, elettrauto, tutor, risk managers, auditor etici...

Certe volte fisso il computer come i bambini la televisione, completamente ipnotizzato, gli occhi immobili. Mi immagino visto da fuori e non è una bella scena. Mi accrocchio sul monitor del portatile di Tina e guardo le frasi, ma le parole mi sembrano svolazzare sullo schermo. Ho in mente una storia di astronavi, salsicce antropomorfe che vanno a pesca, divinità a forma di arbusto che manipolano il multiverso. Il protagonista è il capitano di un razzo a forma di medusa, ha una gallina per assistente. Nel mezzo di un dialogo con l'arbusto, Tina mi dice qualcosa. Io annuisco. Dico: sì, certo. Lei dice: No, era una domanda. Ah, dico. Mi affretto a rileggere sullo schermo, ma non capisco niente. Mi chiede: E qui cosa dovrei scrivere? Sì, dico, sì - intanto nello spazio profondo, su un pianeta sconosciuto, una salsiccia gigante calpesta dei grattaceli dalla forma di categorie grammaticali, dicendo, da una bocca che sputa ciccioli, "Distruggerò Sintax City! Nessuno mi può fermare! Raderò al suolo ogni casa!"

... conduttori di sistema, salesmanager, sistemisti hardware, programmatori applicativo di ambiente dbms, cinefili, cinofili, cinetici, cinesi, cimici, operatori eidomatici, litografi, esperti di sicurezza piste, vetrinai, vetrinisti, esperti di crittologia, ittologi, ittiti, itterici, operatori pratici di fecondazione artificiale animale...

C'è qualcosa che non va nella mia memoria, o forse è sempre così: mi ricordo con molta più intensità le situazioni in cui ho provato vergogna piuttosto che quelli in cui sono stato felice. Voglio dire: la sensazione di vergogna si ripercuote anche nel presente quando mi torna un ricordo imbarazzante; mentre la felicità - se va male - diventa nostalgia, oppure un'immagine confusa. C'è un organo predisposto alla vergogna? Questo spiegherebbe molte cose: un organo sconosciuto al centro del petto, di forma oblunga, che oscilla e fa vibrare tutto il resto per segnalarci che sarebbe il caso di fuggire, nascondersi, non farsi più vedere. E come funzionerebbe nello spazio? E che organi interni ha una salsiccia antropomorfa? E si dice compiaciuto o compiacente? chiede Tina. Non chiedere a me, è lui l'italianista, dice il Commu che ci ha raggiunto per pranzo. Uh? dico io, Uh? Cosa? Chi? Quando? Sì, dico. Sì. Compiaciuto. Compiacente, ecco, mah, sì, no, forse, certo. Sì. Sì. E mentre il Commu prende in mano la situazione e spiega cosa vuol dire compiacente, io oscillo e oscillo e mi rinpicciolisco, cerco di confondermi con i gatti che sonnacchiano negli angoli più nascosti della casa.

... veterinari, investor relators, operatori di macchine a controllo numerico, astronauti, fresatori, car stilisti, olivocoltori, guide speleologiche, creatori di eventi, dialoghisti, osservatori radar, disegnatori edili assistiti da calcolatori, marmisti, marmo nanni, decoratori doratori, compositori floreali e altri che non dico. Adesso basta, però. Voglio dormire.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale