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ale dice mia madre mentre sono in cucina a bere un caffè con Ale, l’altro Ale, non me stesso non mi sono ancora sdoppiato, la mia schizofrenia è da considerarsi ancora latente, non si è ancora scatenata del tutto anche se esiste e dà chiari segni di sé nei momenti più impensati, tendenzialemente quando sono solo ma non è detto che non capiti anche in compagnia senza che io me ne renda conto, qualche avvisaglia a volte ce l’ho ma non mi metterò qui a descrivere i segni preoccupanti di una deriva mentale; insomma ale fa mia madre mentre io e Ale, dicevo, l’altro Ale, che adesso per non confonderci scriverò lui con la lettera maiuscola, io con quella minuscola così siamo sempre sicuri di chi sto parlando, (quante ne penso, eh? ne penso un sacco), comunque stavamo benendo il caffè e dicendo cattiverie sul nostro amico Ducc – no, Ducc sto scherzando, dài, stavamo parlando di erasmus di corsi all’estero di lavoro e cose del genere, volevo solo controllare che tu fossi attento, che seguissi il discorso – insomma stavamo parlando, io e Ale, quando arriva questa matta che sarebbe mia madre che tutti i miei amici e anche io pensiamo che sia completamente fuori di testa e ha addosso una palandrana rossa che sembra zio paperone e si tiene la pancia dal ridere che si vede che ne sta per sparare un’altra delle sue, e lo fa regolarmente quando non sono solo perché deve avere chiaramente un pubblico su cui riversare tutto il suo genio comico, tutto il suo talento da umorista di cui il bersaglio preferito chi è se non io; e non solo per questo lo fa, lo fa perché le viene in mente all’improvviso qualcosa e quando le viene in mente una cosa deve farla immediatamente, subito, se no le sfugge di testa e non ci sono cazzi che tengano, qualsiasi cosa tu stia facendo ti devi interrompere perché lei e il suo genio comico devono uscire allo sbaraglio se no lei si dimentica, anche se è ovvio che poi le cose le tornano in testa, altrimenti non si ricorderebbe di essersi dimenticata qualcosa, in ogni caso ale fa lei, arrivando tutta impalandranata e scuotendo la testa come la Carrà, io e Angela abbiamo deciso, ha ha ha e intanto ride di gusto, che tu ti cambi e ti lavi troppo: ha ha ha quindi ha ha ha devi concludere con queste morose ha ha ha quindi ha ha ha CONCLUDI! e se ne va lasciandoci col nostro caffè, gli occhi spalancati.


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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale