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Deve essere successo qualcosa, pensai, perché fuori dal garage era parcheggiata una macchina dei carabinieri. Un carabiniere era in piedi, di fronte al cancello elettronico del condominio. Alto, con dei baffi sottili, e grosso, fumava inclinando il viso verso l’alto. Sembrava trattenere tutto il fumo dentro di sé. Lo vedevo aspirare, ma mai soffiare fuori, né dalla bocca, né dal naso. Era notte, le due, due e un quarto: gruppi sparsi di ragazzi si muovevano in giro senza meta con bottiglie di birra in mano. Il carabiniere stava in silenzio. Quando il cancello, ronzando, si azionava per chiudersi – con i lampeggianti gialli che diffondevano il loro ritmo luminoso – lui alzava senza sforzo uno stivale e, con uno scatto del ginocchio, oscillava il piede davanti alla fotocellula.
“Cosa è successo?”, gli chiesi.
Lui mi osservò, sempre col viso inclinato in avanti; mi guardò dall’alto in basso, come per dirmi: non sono cazzi tuoi; mi rispose: “Piccoli disguidi familiari.” Punto. Poi ruotò impercettibilmente la testa e aspirò l’ultima parte della sigaretta.

Più tardi, a letto - la finestra aperta - nel tentativo inutile di dormire con mezzo chilo di patate fritte nello stomaco, assediato da una zanzara che ogni dieci minuti, proprio nel momento in cui pensavo sì, ok, mi sto per addormentare, planava vorticosamente sul mio orecchio; mentre riflettevo sull’incredibile quantità di sudore emessa dai miei piedi una volta in contatto con certe suole di finto cuoio dei sandali Birkenstock, suole che provocano una reazione chimica nei miei piedi tale da farli secernere litri di sudore che inevitabilmente si accumula negli anfratti e nelle conche anatomiche del plantare, e provocano, quindi, camminando, una serie di suoni assimilabili alle scoregge – e facendomi perciò camminare sulle punte dei piedi, neanche andassi in giro con dei tacchi a spillo, per non vergognarmi – mentre meditavo tutto questo in una sorta di delirio sudoriparo, ascoltavo, tra le liste delle tapparelle, arrivare voci fortissime che dicevano: “Sei una puttana! Sei una troia! Puttana!” o anche “La droga non ti porterà da nessuna parte! Sei uno stronzo!”, o: “Puttana!”, oppure: “Basta!”, se no: “Stronzo”, eccetera, fino alle tre, tre e mezza del mattino.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o...
Se una notte d'inverno lo spazzolino elettrico di tuo figlio si anima di vita propra senza nessun apparente motivo e tu e tua moglie vi trovate in bagno, assonnati, per capire da dove proviene quella vibrazione e in quel momento, dallo scarico del lavandino un gorgoglio rauco esala una risata che richiama alla memoria una brutta storia mai del tutto chiusa, allora, ecco, forse qualcosa si sta agitando; ma non qui: di qua . So che non dovrei farlo.