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A un tratto ti sale il turbamento, l’inquietudine, la paranoia che non era prevedibile. Tutto ti prende, immotivato, un temporale che ti schianta le vene, ti squassa il cervello, ti strapazza i capelli. Tua madre alla finestra spruzza insetticida sul poggiolo. Dice che tiene lontano i piccioni. Intanto si concentrano le nubi, e tossisci all’odore dolciastro dell’insetticida che si diffonde nella stanza. Da tre giorni non guardi il telegiornale. Perso nel vortice che ti risucchia la mente, arranchi. Annaspi.

Sulla confezione dell’insetticida si legge: Muhe i Komarci, Djelotvorna i sigurna formula.
Dietro c’è scritto: Non vaporizzare su una fiamma o su un corpo incandescente. Non utilizzare in modo diverso da quello previsto. Utilizzare e conservare al riparo di qualsiasi fonte di calore o combustione. Non fumare.

(Chi mai si fuma l’insetticida? Eh? Chi?)

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale