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Gli slavi sull'argine vicino a casa tua ballano in cerchi di sette od otto persone. Si tengono per mano e alzano le braccia a tempo. Un uomo con una camicia a quadri blu e neri canta in un microfono. Il microfono è attaccato a una cassa che diffonde musica preregistrata. L'uomo ha la camicia completamente aperta e sul collo si vede, rosso, il segno dell'abbronzatura. Quando un brano finisce, si sente il ronzio del generatore a cui è attaccato l’impianto stereo.

Poi la musica riprende e i cerchi si muovono e le braccia si alzano e i cerchi girano e girano e girano, e girando sollevano la polvere che li avvolge in una nebbia strana.
- E allora? – ti chiede lei, con l’espressione di chi è convinto di perdersi qualche cosa, qualsiasi cosa, mentre invece parla con te.
- Niente. Mi sembrava una cosa bella da raccontare.
- Ma era bello?
- Mi sembrava bello. Anche un po’ triste, però. E squallido, per certi versi.
- Squallido?
- Non so. C’è chi tirerebbe fuori cose generali da una scena del genere. Io non ci riesco. Volevo solo raccontartelo.
- Cose generali? Cosa stai dicendo?
- Niente. Lascia stare. E’ che vorrei uno sguardo più acuminato.
Quando dici queste cose, giustamente, non ti ascolta più.
Non ti ascolto più neppure io. Figurati gli altri.

A cena, due giorni prima, N. ti chiede, stupito, se tu e lei vi sentite ancora. Tu, stupitissimo, gli dici di sì. Lui, molto più stupito, con gli occhi strabuzzati, ti dice che credeva che vi odiaste. Tu, facendo le capriole per lo stupore, rotolandoti per terra da quanto stupito sei, dici di no che non vi odiavate. Lui saltando sul tavolo, eseguendo un perfetto salto mortale triplo, cantando una canzone dei Sigur Ros per lo stupore, una canzone di quindici minuti riarrangiata apposta per l’occasione in una canzone di dieci secondi, il tempo di un perfetto triplo salto mortale, ti dice che non è vero che pensava che vi odiaste, ma che lei odiasse te sì.
Ah, dici tu.

In bicicletta, verso Radiosherwood, la strada è stretta al limite del legale, quasi non ci passa una macchina, ma il senso di marcia è doppio e tu, in bicicletta, pensi a cosa stai facendo e perché lo stai facendo, sentendoti un perfetto idiota e, mentre stai per affrontare un sottopassaggio, tutto concentrato sulla tua idiozia, spunta dal nulla un cane lupo grande come un cavallo. Ho detto un cavallo? No. Era un cane lupo grande come un trattore. Un trattore? Siamo matti? Era grande come una palazzina di tre piani, grande come una collina, un cane lupo a forma di montagna, con bave da irrigare cinque risaie, un cane lupo all’attacco, puntato su di te. Acceleri, ma ancora, ore dopo, a letto, prima di prendere sonno, lo senti abbaiare.

(p.s. E’ ormai confermato che l’argomento di conversazione preferito di qualcuno verso le due di notte è invariabilmente: la merda.)

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