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Torno a casa verso mezzanotte e mentre torno a casa incrocio un ragazzo con un braccio ingessato e poco dopo una ragazza vestita di bianco che cammina zoppicando e si aiuta con una stampella blu e quando arrivo a casa apro la porta e penso a quanti infortunati ho incontrato oggi, un numero impreciso ed enorme di infortunati di tutti i tipi, uno senza un braccio, uno senza denti, tre in sedia a rotelle, penso a tutti gli infortuanti che ho visto oggi e apro la porta e trovo mia madre con un fazzoletto sul naso e chiedo Che è successo.

“Che è successo”, chiedo. “Mi sono rotta il naso” “Ti sei rotta il naso?” “Sono caduta per le scale.” “Ma fa male?” “Be’, non fa bene certo.” “Come sei caduta?” “Avevo un sacco di libri in mano, sono caduta salendo le scale e mi sono rotta il naso.” “E papà? Che ha detto papà?” “Diocà, ha detto.” “Come?”
“Gli ho detto: mi sono rotta il naso. Diocà, mi ha risposto.”

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale