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Si affaccia alla finestra mentre passo e dice che mi ha sognato. Ah. Dice che nel sogno ero in una cassa. Una cassa? Che tipo di cassa? No, dice, una cassa di vini. E come ci stavo? Dice che ci stavo bene. Una cassa di vini o una cassa da morto? Dice una cassa da vini e una cassa da morto. Una cassa da vini che è una cassa da morto o una cassa da morto che è una cassa da vini? Dice che non lo sa. C’è una certa differenza. Dice che era una cassa da morto che era una cassa da vini che era una cassa da morto. E tu? Tu dov'eri? Dice che lei era con me. Nella cassa da vini che è una cassa da morto? Sì, dice, stretti. E poi? Dice che poi io non c’ero più. E la cassa? Dice che non c’era più la cassa, neanche la cassa. Dice. E, mentre dice, ruota l’avambraccio tenendo fisso il gomito. E io, che la guardo dal piano terra, lei che è affacciata alla finestra a pochi metri sopra di me, penso (non penso niente) e (non faccio niente) e invece di (ebbene sì), io, che (qui c’era una cazzata), (mah).

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale