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Qui d’estate sembra di essere in un bunker.
Tapparelle abbassate, porte chiuse, tende tirate per non far filtrare un filo di luce.
- Chiudo la porta? – mi chiede Margherita
- Sì, chiudi la porta
Chiude la porta; apro la porta, entriamo in un’altra stanza buia.
- Chiudo la porta?
- Chiudi, sì.
- Cazzo, mi sembra di essere sul set di The Others.

Esco in preda a un’orrenda nostalgia. S.Antonio desertifica la città più della temperatura. Le strade riverberano vuotezza, bruciano lo sguardo. Circolo per le solite zone: il freno destro della bici penzola rotto giù dal manubrio. Nella via più trafficata (due macchine incidentate), un refolo di phon mi suggerisce che ho la patta aperta. Abbandono con la sinistra il manubrio, guardo i pantaloni. Contemporaneamente curvo. I bottoni fanno un’inspiegabile quanto fastidiosa resistenza. Curvo male. La prendo troppo larga. Alzo lo sguardo. Freno, ma il freno è rotto.
La transenna metallica mi accoglie a braccia aperte.

All’improvviso ricordo che L., un giorno che eravamo soli - io seduto sul divano, lei accanto a me - mi assalì nel tentativo di schiacciarmi i punti neri. “Come in quel racconto di Carver!”, diceva.
La letteratura può far male, a volte.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale