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L’afa ti prende al cervello. Ogni parte molle del tuo corpo si accascia. I pensieri si fanno lunghi, lenti, si autoalimentano, si inceppano, si ripetono, saltano passaggi. Le parole si gonfiano di umidità, strabordano, si spintonano. Collassano una sull’altra.

L’afa ti prende al cervello. Il tuo corpo si accascia. Ti scopri a pensare al processo che porta i nomi lunghi a diventare bi o monosillabi. Alessandro. Ale. A’. Sandro. Sa’. Dro! Le’. Andr. I pensieri si fanno lunghi, lenti, si ripentono, saltano in aria, si conflagrano. Le parole si confondono.

Il cervello ti prende l’afa. Il tuo accascio si corpizza. Le lungaggini si fanno pensierose, farragginose, si incupiscono le dita. L’umidità si risucchia le parole, le arrangia, le disordina.

Ti si cervellizza l’afa. Ti chiedi per chi sono le parole. Certe parole. Vorresti che certe parole qualcuno le dicesse anche a te. Ma lo pensi tutto scombinato. Tanto che poi le parole, certe parole, scompaiono. Ti chiedi se c'erano state veramente. Ti si afizza il cervellamento. Ti si memorizza l’atrofia. No: ti si atrofizza la memoria.

p.s. Naturalmente i commenti non funzionano. Aiuto. Aiuto! Qualcuno mi aiuti.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale